Un sottile filo rosso continua a legare la nostra terra con la Germania. A percorrerlo, sulla falsariga delle esperienze fortunate degli ultimi anni, l’artista Romolo Bianco, cantante e scrittore, che si esibirà il 20 e il 21 agosto a Colonia in due concerti attesissimi. Nei quali veicolerà la verve da caratterista e l’inconfondibile voce, che ne fanno ad oggi uno dei più frizzanti interpreti della tradizione partenopea sul palcoscenico nazionale e internazionale.
Sarà l’elegante quartiere di Rodenchircken ad ospitare un palco in piazza: qui le canzoni napoletane saranno protagoniste del fortunato recital “Napolide” che il cantante sta portando in giro da tempo. Con lui una nuova band di musicisti napoletani:  Francesco Rea alla chitarra, Gennaro Severino a basso e tastiere, Antonello Gajulli alle percussioni. Sarà il primo di una serie di appuntamenti internazionali, tra l’Europa e gli Stati Uniti, che vedranno impegnato l’artista napoletano nella sua costante ricerca di rinnovare e contaminare la tradizione della canzone napoletana con elementi della musica greca e mediterranea. “Napolide – sottolinea  Bianco –  è il tentativo di bagnare le lenzuola dei vicoli napoletani nel mar Egeo, sotto il sole di Tunisi, tra Bregovic e Marcello Colasurdo”.
E intanto continua a riscuotere consensi “iodipiù”, il libro con il quale Romolo Bianco esplora una Napoli lontana dai cliché, oltre Gomorra, raccontando il malinconico malessere di una quotidianità silenziosa, che guarda il mondo dal buco della serratura o, per dirla con Peppe Lanzetta, autore della prefazione, “un fiume disperato eppure vitale, un fiume di tenerezze mai riposte, di amori contrastati, di trasgressioni all’amatriciana, di polpette da ingurgitare aspettando un sonno salvifico eppure assassino”.Nella periferia orientale di Napoli, prende forma l’esistenza di una famiglia piccolo borghese, una come tante. Don Mario, che vende tappeti al mercato: si alza che fuori è notte e all’alba è già in giro, polvere e sudore, mille pensieri e altrettanti caffè. Marito e padre assente, tutto silenzio e rughe, che incrocerà gli occhi di Berta, trans della Ferrovia. Una figura non spettacolarizzata, lontana dalla caricaturizzazione imperante: un ragazzo che ha paura di amare. Il loro è un incontro casuale ma non banale, di quelli in grado di modificare il corso delle cose. Anche nell’immobilismo del dietro le quinte della vita. Don Mario a casa però ha Lucia che lo aspetta; l’ha messa incinta che era una studentessa, quella ragazza che sognava l’aristocrazia napoletana, e che poi un giorno si è risvegliata che viveva a Casoria e aveva due figlie già grandi. Marta, l’orgoglio di mammà, è una brillante laureanda in Medicina; Anna, invece, la scuola l’ha lasciata anzitempo, e adesso sogna solo di sposare il suo Lino, uno senza arte né parte, null’altro da offrire se non il suo cuore e il suo amore.
Anna piange spesso, tra pile di piatti da lavare e fornelli da sgrassare, quindi stira, mette in ordine e rassetta, in un giorno che è sempre uguale. Fino a quando una scoperta non arriverà a capovolgere un mondo fatto di colori sbiaditi – grigio a perdita d’occhio, grigio senza soluzione di continuità – e odori tristi – quello acre degli pneumatici che ardono ai margini delle statali, accanto al puzzo di piscio dei vicoli. A far da sfondo la calura insopportabile di certe estati a Napoli, il sapore metallico di notti lunghissime in cui tutto può accadere, e inconsapevoli burattini dal destino già segnato, cui non è concesso un altro giro di giostra.

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