Leo Pugliese – Ogni anno, come navigatori smarriti in un mare infinito, ci aggrappiamo all’illusione di poter tracciare una nuova rotta nel tempo. Crediamo che la mezzanotte del 31 dicembre sia una porta magica, un confine netto tra ciò che è stato e ciò che sarà. E così, ci immergiamo nei rituali: lenticchie come monete di speranza, melograni rubini di abbondanza, brindisi esplosivi che sembrano voler infrangere il vetro di un passato ormai opaco. Perfino il viaggio, verso mete esotiche o intime, diventa un tentativo di fuga, un volo simbolico verso una felicità mai completamente afferrata.

Il 2024 si è già dissolto, come una fotografia sbiadita che lascia solo tracce del suo passaggio. E ora fissiamo il futuro come un foglio bianco, immacolato, pronto a ricevere i nostri sogni. È uno spazio intatto, dove ancora non esistono fallimenti e dove il possibile sembra brillare, come un orizzonte mai raggiunto. In questo momento, il bambino che vive dentro di noi si risveglia: occhi spalancati, cuore leggero, attratto dal mistero del nuovo.

Ma questa illusione, così dolce, è un inganno che conosciamo bene. Il passato ci ha mostrato i nostri limiti, mentre il futuro si maschera da salvatore, promettendoci ciò che desideriamo ma che, spesso, sfugge. È un gioco sottile: il vecchio anno si carica del peso delle nostre delusioni, mentre il nuovo viene vestito di promesse scintillanti. Ma, come un fuoco d’artificio, la meraviglia della mezzanotte esplode e svanisce in un istante, lasciando il cielo vuoto.

Il tempo, in realtà, non ha porte né inizio. È un fiume che scorre senza sosta, incurante delle nostre illusioni. Sappiamo che la vita non cambia con uno scoccare di lancette, ma con il paziente lavoro del quotidiano. Sappiamo che il futuro non sarà perfetto, perché siamo noi a costruirlo, e le mani che lo plasmano sono imperfette. Tuttavia, non possiamo fare a meno di cedere al fascino dell’inizio, di credere che, per una notte, qualcosa di magico sia davvero possibile.

Il 31 dicembre è un teatro, e noi diventiamo attori del nostro desiderio di cambiamento. Gli adulti, solitamente appesantiti dalla razionalità, si concedono per un attimo il lusso dell’infanzia: contano i secondi finali come se fossero battiti di un cuore che rinasce. In quel countdown, gettiamo simbolicamente via ciò che ci ha ferito, come zavorre da un pallone aerostatico, sperando di librarci verso un cielo più sereno. È un atto di liberazione, un’esplosione di luce in una notte altrimenti buia.

Ma non tutti riescono a giocare questa partita con il tempo. Per alcuni, la realtà è troppo dura e il peso dell’anno trascorso troppo grande. Le difficoltà economiche, le sedie vuote di chi non c’è più, le delusioni accumulate si trasformano in catene che trattengono anche il più timido tentativo di volo. E così, mentre il mondo celebra, qualcuno resta intrappolato nella malinconia, consapevole che la magia non basta a cancellare ciò che è stato.

Eppure, proprio lì, nella consapevolezza della nostra finitezza, si nasconde la più grande verità. L’inizio non è un dono del calendario. Non è un evento che ci viene offerto, ma una scelta che ci spetta. Non è il tempo che si rinnova, ma noi stessi che abbiamo il potere di trasformarci. Ogni giorno è un seme piantato nel terreno delle nostre decisioni, ogni istante un’opportunità di ricominciare.

Il nuovo anno è solo uno specchio che riflette la nostra sete di cambiamento. Non c’è una vera alba che segni il principio del tempo, perché il tempo non si ferma mai, né riparte. Siamo noi, con le nostre mani e i nostri sogni, a creare l’inizio. Siamo noi a dare forma al fiume che, altrimenti, scorrerebbe senza volto. E allora, perché aspettare il 1º gennaio? La magia, quella vera, è già qui, nel coraggio di ricominciare ogni giorno.

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