Elena Stancanelli –  Il seme dell’uomo era sta­to depositato per un iter di procreazione assistita. Poi, lui è morto e la moglie ha deciso di procedere comunque con l’impianto. La figlia è nata due anni dopo l’incidente the ha ucciso suo padre, come se fosse il frutto di una lunghissima gravidan­za. Ma se il padre fosse anco­ra vivo, potremmo parlare di una gravidanza tradiziona­le? Non direi, dal momento the parte del percorso sareb­be comunque avvenuto fuori dal corpo della donna, una procedura resa possibile dalla tecnologia. Dare la vita è il più potente eserci­zio di potere, non stupisce che ci sia così tanta attenzio­ne nel mettere a punto tecni­che sostitutive.

Si dice che si arriverà presto a gravidanze completamente extrauteri­ne, oppure si riusciranno a ot­tenere degli Y dalle X, e allo­ra alle donne non serviranno maschi neanche per generare maschi. Potremmo avere figli con caratteristiche somatiche selezionate, geneticamente predisposti alla bellezza, l’in­telligenza e a chissà quale obiettivo ci verrà voglia di predisporre per loro prima anco­ra che nascano. La scienza la­vora nella direzione del no­stro desiderio. Cerca quello the noi gli chiediamo di trovare. Cosa cerchiamo? la fertili­tà, prima di tutto. La certezza che chi lo desidera potrà esse­re madre, a prescindere dalle manchevolezze del suo cor­po.

Abbiamo approntato dun­que una tecnologia che per­mette a ovuli rari e spermato­zoi mosci di incontrarsi in un piccolo paradiso dove le cose sono più semplici. In vitro. Do­ve possono unirsi senza diffi­coltà. Una volta avvenuto rin­castro, con cura rimettiamo l’embrione nell’utero e incro­ciamo le dita.

Ma perché que­sto processo apparentemen­te semplice possa avvenire, la donna viene sottoposta a feroci e dolorosi trattamenti ormonali, che non somiglia­no per niente alla tradiziona­le pratica che porta al conce­pimento. Tra il sesso e la Fi­vet c’è la stessa differenza che c’è tra un Mont Blanc e un’iniezione di insulina. Ma se le cose vanno come previ­sto, in fondo c’è comunque il premio, il figlio.

La medicina opera sempre sui confini, in particolare quello tra la vita e la morte. Più avanti, più indietro. Cen­toventi anni è un obiettivo ra­gionevole, secondo Elon Mu­sk. Su quanto sia lecito fare, fin dove la vita sia degna, ab­biamo cominciato a discute­re. Fine vita, eutanasia. Ma fin dove si possa operare per ottenere un concepimento è argomento più delicato. Perché la posta in gioco è, appa­rentemente, migliore: la vi­ta, non la morte.

Ma in en­trambi i casi, la liceità preve­de lo stesso assunto, che la natura sia il miglior arbitro della scienza. Che esista un’intelligenza naturale, affi­nata nei secoli, che consente soltanto quello che è più uti­le e meno dannoso per la spe­cie, il mondo, l’universo. Se quella donna o quell’uomo non riescono ad avere figli in maniera naturale, è perché la natura ha disposto che fos­se meglio così. Davvero? Chi se la sente oramai di sottoscri­vere una simile affermazio­ne? Nessuno, perché, grazie al cielo, dai capricci della na­tura ci siamo affrancati da un bel po’. Soltanto rimanendo nel campo delle medicine, antibiotici, penicillina, e poi ormoni, tecnologie roboti­che ci hanno liberato della schiavitù del naturale.

I no­stri corpi sono mutati, e gra­zie alla scienza siamo in gra­do di resistere a una serie di disastri con i quali la natura pretenderebbe di annichilir­ci. Eppure, ogni tanto ci spaventiamo. E’ successo coi vac­cini, succede con la chirurgia estetica. Vi ricordate quando provavamo raccapriccio ver­so i volti stravolti dal bisturi? È bastato che la tecnica si affinasse, che le labbra si sgon­fiassero un po’ perché tutti ci dimenticassimo la nostra riprovazione. La questione non era che tua nonna sem­brasse tua nipote, la questio­ne era che non sembrasse un mostro. Con buona pace di Anna Magnani, chi non rinun­cerebbe a togliersi le rughe anche se ci ha messo una vita a farsele, in cambio di un bel visetto fresco? Così la maternità. Quando si può fare un piccolo sgambetto alla natu­ra, accelerare dove se l’è presa comoda, raddrizzare qualche stortura, è crudele non permettere di farlo. II li­mite morale siamo noi, la no­stra felicità, perché questo e il mondo che abbiamo co­struito. E sulla base di cosa de­cidiamo di negarla a chi ha scelto diversamente da come avremmo scelto noi? 

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